Gregg Braden – Cinque antichi specchi dei rapporti umani- II° specchio

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CINQUE ANTICHI SPECCHI DEI RAPPORTI UMANI

Primo specchio: Riflessi del momento presente

Secondo specchio:  Riflessi di ciò che giudichiamo nel presente

Terzo specchio: Riflessi di ciò che abbiamo perso, ceduto, o ci siamo
fatti portare via

Quarto specchio: Riflessi della nostra Notte oscura dell’anima

Quinto specchio: Riflessi del nostro più grande atto di Compassione

In generale, gli specchi più ovvi vengono riconosciuti per primi, permettendo al potere di quelli più profondi e impalpabili di emergere e di manifestarsi.
Nei paragrafi che seguono, esploreremo i cinque specchi dei rapporti umani,
partendo   dal   più   ovvio   per   giungere   al   più   impercettibile.   La  soluzione   di
ciascuno in sequenza rappresenta un’equazione in codice che ci consente la
più   estesa   forma   di   guarigione,   nel   minor   tempo   possibile.   La   ricerca
scientifica ha dimostrato che nel  cambiare  i sentimenti  che proviamo su ciò
che ci  è accaduto  in passato,  modifichiamo  la nostra chimica corporea nel
presente. Vivere in un universo in cui i sentimenti che proviamo per noi stessi
si   riflettono nel  mondo circostante  rende più  importante che mai  sia saper
riconoscere cosa ci  comunicano  i  nostri   rapporti,  sia  imparare a  leggere  i
messaggi della Matrix Divina.

 

IL SECONDO SPECCHIO:   RIFLESSI DI CIÒ CHE GIUDICHIAMO NEL
PRESENTE

«Sappiate cosa vi  sta davanti  agli  occhi,  e quello che vi  è nascosto  vi sarà
rivelato»3. – Il Vangelo di Tommaso
Negli anni ’70, uno dei miei maestri di arti marziali mi rivelò il segreto di come
si leggono gli opponenti: «In una gara ogni persona rappresenta uno specchio
che ti riflette, il tuo opponente ti mostrerà chi sei nel presente. Osservando il modo  in  cui  ti  si avvicina,   stai   vedendo   come   reagisce   al  modo  in   cui   ti
percepisce». Per tutta la vita ho tenuto a mente le parole del mio maestro e le
ho spesso soppesate. Più tardi iniziai ad applicare quello che aveva detto sulle
competizioni  ambientate nel  dojo al  modo  in cui   le persone si  comportano
nella   vita.  Nel   1992  mi   trovai   impegolato   in   un’esperienza   in   cui   questo
specchio non aveva alcun senso…  Fu allora che scoprii   la sottigliezza del
secondo specchio dei rapporti umani.
Nell’autunno di  quell’anno,   in breve  tempo conobbi   tre nuove persone che
entrarono a far parte della mia vita. Attraverso di  loro avrei sperimentato tre
dei  più potenti   –  e dolorosi   –   rapporti  umani  della mia vita adulta.  Sebbene
all’epoca non me ne rendessi  conto,  quelle  tre persone sarebbero diventate
grandi maestri di vita per me, con modalità inimmaginabili e di cui non le avrei
mai credute capaci.
Tutte e tre mi impartirono la singola lezione che avrebbe fatto in modo che la
mia vita non sarebbe stata mai  più  la stessa.  Nonostante ciascuno di  quei
rapporti   mi   stesse   facendo   da   specchio   proprio   nel   momento   giusto,
inizialmente non riconobbi la lezione che mi stavano insegnando.
II  primo rapporto era con una donna,  approdata alla mia vita con obiettivi  e
interessi talmente simili ai miei, da farci decidere di vivere e lavorare insieme.
Il  secondo  rapporto era una nuova  relazione professionale che mi  avrebbe
dato un prezioso apporto nell’organizzazione e gestione dei miei seminari  in
tutto il paese. Il terzo rapporto contemplava un accordo di amicizia e di affari
fra me e un uomo che si sarebbe preso cura della mia proprietà durante i miei
viaggi  di   lavoro,   in  cambio di  un posto dove  stare  in uno dei  miei  edifici
inutilizzati, in via di ristrutturazione.
Il fatto che quei rapporti mi fossero arrivati simultaneamente avrebbe dovuto
mettermi in guardia che si stava preparando qualcosa – e qualcosa di grosso.
Quasi   immediatamente,   tutti   e   tre   iniziarono   a  mettere   alla   prova   la  mia
pazienza,  assertività  e  risolutezza.  Mi  sentivo  come  se quelle persone mi
stessero   facendo   impazzire!  C’erano   discussioni   e   disaccordi   continui   con
ciascuno di loro. Poiché viaggiavo molto, avevo la tendenza a minimizzare le
tensioni  e a evitare di  cercare una soluzione.  Mi   ritrovai  ad assumere un
atteggiamento   del   tipo   “aspettiamo   e   vediamo   che   succede”   finché   non
tornavo   dal   mio   viaggio   successivo.   A   quel   punto,   le   cose   stavano
esattamente come le avevo lasciate e talvolta erano perfino peggiorate.
A quell’epoca,  al  mio arrivo all’aeroporto dopo aver   svolto  i  miei   seminari
seguivo   una   routine.   Recuperavo   il   bagaglio,   prelevavo   dal   bancomat   i contanti  sufficienti  per   fare benzina e pranzare e mi  mettevo alla guida per
quattro o cinque ore,   tornando verso casa.  Durante un particolare viaggio,
però, accadde qualcosa che mi fece mettere a fuoco tutti quei rapporti. Dopo
essermi   ripreso  le valigie,  andai  allo sportello automatico per   fare  il  solito
prelievo.  Con mio grande orrore,   la macchina stampò uno scontrino da cui
risultava che sul mio conto non c’erano neanche i soldi sufficienti per fare un
pieno da venti dollari!
Ero   particolarmente   sconvolto,   poiché   di   recente   mi   ero   accordato   con
un’impresa edile per iniziare la ristrutturazione di un edificio centenario situato
sulla mia proprietà e costruito con  la  tipica  tecnica dell’addobbo,  e  l’impresa
era appena stata pagata con assegni di quel conto. Lo sportello automatico mi
stava dicendo che sul mio conto non c’era più niente – neanche un centesimo –
per far fronte a tutti i miei obblighi finanziari oltre al mutuo, alle spese d’ufficio,
di   viaggio   e   familiari.   Sapevo   che   doveva   trattarsi   di   un   errore.  Mi   era
altrettanto   chiaro   che   alle   17.30   di   una   domenica   pomeriggio   nel  Nuovo
Messico non c’era molto da fare – tutto era chiuso  fino al   lunedì.  Dopo aver
convinto  l’inserviente del  parcheggio a  lungo  termine che gli  avrei  pagato  il
conto per  posta,  mi  misi  al  volante dirigendomi  verso casa e  rimuginando
sull’accaduto.
Quando  chiamai   la banca  la mattina  seguente,  ebbi  una  sorpresa  ancora
peggiore. Non riuscivo a crederci, ma il saldo zero non era un errore; sul conto
non c’era davvero più niente. In effetti, c’era meno di niente – un prelievo non
autorizzato   da   parte   della   donna   a   cui   avevo   affidato   i  miei   affari   aveva
completamente prosciugato il mio conto. A causa delle penali che erano state
applicate a tutti gli assegni scoperti, mi ritrovai improvvisamente ad avere un
conto in rosso, con centinaia di dollari di spese da pagare.
Ero   scioccato,   incredulo.   Le   mie   emozioni   si   trasformarono   ben   presto
dapprima in rabbia, poi in furore. Mi figuravo tutte le persone a cui avevo fatto
degli   assegni   che   non   avrei   potuto   coprire   con   dei   fondi   inesistenti.   La
violazione di fiducia che avevo subito e la totale mancanza di considerazione
per  me e per   i  miei   impegni  si  era  rivelata più dolorosa di  quanto mi   fossi
aspettato. Per peggiorare le cose più tardi, quello stesso giorno anche la mia società in affari   raggiunse un punto   incandescente.  Quando aprii   la  posta  e  feci   un
controllo su un  resoconto economico  relativo a dei  seminari  che avevo già
svolto, trovai delle discrepanze in alcune voci di spesa e mi dovetti mettere al
telefono per contestarle una per una al mio socio, per difendere la mia parte di
profitti.

 C’È PIÙ DI UNO SPECCHIO

La mattina dopo,  mi   inoltrai   lungo  la  strada sterrata che collegava  la mia
proprietà  con una grande montagna che domina  la  valle dietro casa mia.
Raccolto in preghiera, passavo attentamente sopra i solchi profondi e fangosi
e il pietrisco appuntito, invocando la saggezza necessaria per riconoscere lo
schema   che  mi   si   parava   innanzi   così   aggressivamente,   nonostante   non
riuscissi   a   decifrarlo.   Qual   era   il   filo   conduttore   di   quei   tre   rapporti?
Ricordandomi le parole del mio insegnante di arti marziali, mi domandai: Qual
è  il  riflesso comune che queste  tre persone mi  stanno mostrando con  il   loro
comportamento?
Immediatamente,  un  flusso di  parole mi   inondò  la mente;   talune erano così
veloci da dileguarsi, ma altre mi restavano bene  impresse.  Nei  giro di pochi
secondi,   quattro   parole   presero   il   sopravvento   su   tutte   le   altre:  onestà,
integrità, verità sfiducia.  Mi feci altre domande:  Se queste persone mi stanno
rispecchiando ciò che io sono nel presente, stanno forse mostrandomi che sono
disonesto? Ho in qualche modo violato i principi di integrità, fiducia e verità nel
mio lavoro?
Mentre  mi   ponevo  mentalmente   le   domande,   un   sentimento  mi   sali   dal
profondo.   Dentro   di  me   una   voce   –  la  mia   voce   –  stava   gridando:  No!
Naturalmente   sono   onesto!   Naturalmente   ho  integrità!  Naturalmente   sono
veritiero e meritevole di fiducia! Queste cose sono proprio la base del lavoro che
condivido con gli altri. L’attimo dopo fui raggiunto da un altro sentimento — sfuggente dapprima, poi
sempre   più   forte   e   nitido,   fino   a   diventare   pienamente   lampante   e
comprensibile per me. In quel momento lo specchio si fece improvvisamente
cristallino: le tre persone che avevo così abilmente attratto nella mia vita non
mi  stavano mostrando ciò che  ero nel  presente;  ciascuno di   loro mi  stava
invece dimostrando un riflesso diverso e più sottile di  cui nessuno mi aveva
mai parlato. Attraverso i nostri scontri di fatti di convinzioni e stili di vita diversi,
anziché mostrarmi ciò che ero,  mi stavano mostrando le cose che giudicavo! Quelle persone facevano vedere le qualità che innescavano in me una grossa
a carica negativ- quelle stesse qualità che sentivo che essi avevano violato in
me.
In quel momento della mia vita, giudicavo fortemente il modo in cui le persone
gestivano  la propria onestà e  integrità.  Molto probabilmente  le mie cariche
negative  si  erano  andate  costruendo  fin dall’infanzia.   In un attimo,   le mie
esperienze passate si chiarirono repentinamente. Mi ricordai immediatamente
di tutte le volte in cui quelle stesse qualità erano state violate nella mia vita:
storie d’amore del passato in cui la mia partner e io non eravamo stati sinceri
sulla presenza di altre persone nella nostra vita, promesse adulte fatte ma non
mantenute,   amici   ben   intenzionati   e  mentori   aziendali   che   avevano   fatto
promesse che non avrebbero potuto mantenere nemmeno  fra un milione di
anni… la lista era infinita.
I miei giudizi su queste problematiche si erano accumulati per anni a un livello
talmente   infinitesimale,   da   non   farmene   neanche   accorgere.   Ora   invece
stavano al centro di dinamiche che non potevo più ignorare! La magnitudine di
un conto in banca azzerato era la garanzia che io avrei dovuto comprendere il
messaggio di questi rapporti prima di poter procedere con la mia vita. Quello è
stato   il   giorno   in   cui   appresi   il   sottile  ma   profondo  mistero   del   secondo
specchio dei rapporti umani: lo specchio delle cose che io giudico nella vita.

SAPETE RICONOSCERE I VOSTRI SPECCHI?

Vi invito a passare in rassegna i rapporti che avete con le persone della vostra
cerchia   più   ravvicinata.  Poi,   riconoscete i tratti e le caratteristiche che vi
irritano profondamente e sembrano farvi  impazzire. Fatto questo, ponetevi la
seguente   domanda:  Queste  persone  mi   stanno  mostrando  me   stesso   nel
momento presente?
Può   darsi   che   sia   così.   In   tal   caso,   una   sensazione   “viscerale”  ve  lo
confermerà immediatamente. Ma se la risposta è no, forse quelle persone vi
stanno  rivelando qualcosa di  ancora più profondo dello specchio di  chi  voi
siete – forse vi stanno mostrando il riflesso delle cose che giudicate nella vita.
Il  semplice  fatto di  riconoscere e di  accettare  l’esistenza di  questo specchio
costituisce il primo passo della guarigione dai propri giudizi.

L’EFFETTO A CATENA NELLA GUARIGIONE

Il  giorno dopo aver riconosciuto  lo specchio dei  miei  giudizi,   feci visita a un
amico   che   vive   e   lavora   nel   vicino   pueblo   di   Taos.   Questo   sito,   che
rappresenta una delle più antiche comunità  indigene del  Nord America,  è
abitato   ininterrottamente   da   almeno  millecinquecento   anni.   Robert   (è   un
soprannome)   aveva   un   negozio   in   città   ed   era   un   artista   e   artigiano
estremamente dotato.   Il  suo negozio era  tappezzato di  sculture,  acchiappa-
sogni,  musica   e  monili   che   avevano   fatto   parte   delle   sue   tradizioni   per
centinaia di anni, ancor prima che si potesse parlare di “America”.
Quando entrai stava lavorando a una scultura alta quasi due metri piazzata nel
corridoio dietro di lui. Ci salutammo, poi gli chiesi come stava la sua famiglia e
come andavano gli affari e per alcuni minuti chiacchierammo cordialmente. Poi
lui  mi   girò   la   domanda,   chiedendomi   come   andavano   cose   per  me.  Gli
raccontai  cosa mi era successo quella settimana, menzionando anche le tre
persone e il denaro mancante. Dopo aver ascoltato le mie vicende, rifletté un
momento e poi mi raccontò una storia.
«Il mio bisnonno», cominciò a dire, «andava a caccia di bufali nelle pianure del
Nuovo Messico settentrionale». Sapevo che doveva riferirsi a parecchio tempo
fa, perché per quanto ne sapessi erano anni che da quelle parti non si vedeva
un bufalo. «Prima di morire, mi consegnò il suo oggetto più prezioso: la testa
del primo bufalo che aveva catturato, quando era ancora un ragazzo». Robert
mi spiegò poi che quel trofeo era diventato un tesoro anche per lui. Dopo la
scomparsa   del   bisnonno,   l’oggetto   rappresentava   una  delle  poche  reliquie
tangibili che lo mantenevano in contatto con le sue radici.
Un giorno una gallerista era venuta a  far  visita a Robert  dalla città vicina.
Vedendo quel meraviglioso trofeo, gli aveva chiesto il permesso di inserirlo in
una mostra nella sua galleria d’arte e  lui  aveva acconsentito.  Dopo alcune
settimane,  non avendo più notizie dell’amica Robert  si  era  recato nella sua
città per andare a trovarla. Con sorpresa, quando giunse alla galleria la trovò
vuota.   Le  porte   erano   serrate,   le   finestre   oscurate   e  il   negozio  era   stato
dismesso. La gallerista era sparita, insieme alla testa di bufalo. Robert alzò lo
sguardo   dalla   sua   statua   quanto   bastava   affinché   mi   accorgessi   che
quell’esperienza l’aveva ferito.
«Che cosa hai fatto?» gli chiesi. Mi aspettavo di sentire come aveva fatto per
rintracciare la gallerista e recuperare il suo prezioso oggetto.
Quando il suo sguardo incontrò il mio, la saggezza della sua risposta non si
perse nella sua semplicità: «Non ho fatto niente, perché lei porterà sempre il
peso   di   ciò   che   ha   fatto».  Quel   giorno  me   ne   andai   dal   pueblo   di  Taos pensando a quella storia e al significato che rivestiva anche per me.
Più tardi nel corso di quella settimana, cominciai a esplorare le opzioni legali
che mi si offrivano per recuperare almeno una parte del denaro trafugato dal
mio conto corrente. Ci volle poco per capire che, nonostante avessi in mano
delle   carte   favorevoli,   stavo   prendendo   in   considerazione   una   procedura
prolissa, protratta nel tempo e costosa. In base alla natura dell’incidente, avrei
dovuto aprire un caso penale,  non civile.  Da quel  momento  in poi  sarebbe
passato completamente  in mano ad altri  e  la  responsabile,  se  fosse stata
condannata,   avrebbe   potuto   essere   messa   in   prigione.   Tutto   questo
prevedeva anche un prolungamento del   rapporto emotivo con una persona
con cui sentivo di non avere più alcun legame.
Mentre valutavo le varie opzioni, ripensai ancora una volta alla conversazione
che avevo avuto col mio amico di Taos e alle lezioni che erano state imparate.
Non   mi   ci   volle   molto   per   raggiungere   le   conclusioni   che   mi   parvero
immediatamente le più giuste: scelsi di non fare nulla. Quasi istantaneamente,
cominciò a succedere qualcosa di inaspettato – tutte e tre le persone che mi
rispecchiavano i miei giudizi cominciarono ad allontanarsi da me. Non ero più
arrabbiato   con   loro   e  avevo   smesso   di  provare   risentimento. Cominciai a
provare uno strano senso di   “vuoto”  verso di   loro.  Non  feci  alcuno sforzo
intenzionale per mandarle via. Una volta che io avevo ridefinito  l’accaduto e
dato un significato alle varie esperienze per quello che erano, tenendo fuori il
giudizio  che  le aveva modellate  in quella  forma particolare,  non  rimaneva
semplicemente   più   nulla   che   trattenesse   quelle   persone   nella  mia   vita.
Ciascuna cominciò semplicemente a scomparire dalle mie attività quotidiane.
A un tratto, ci furono meno telefonate e lettere da parte loro e via via sempre
meno pensieri che li riguardavano. I miei giudizi avevano fatto da calamita per
tenere al loro posto quei rapporti.
Sebbene quei nuovi sviluppi fossero interessanti, entro alcuni giorni cominciò
a succedere qualcosa di ancora più intrigante e perfino un po’ strano. Mi resi
conto   che   anche   altre   persone   che   frequentavo   da   tempo   si   stavano
allontanando. Anche in quel caso, non ci fu nessun tentativo cosciente di porre
fine   a   quei   rapporti;   sembrava   semplicemente   che   non   avessero più un
significato.  L’unico caso  in cui  mi  è capitato di  parlare con una di  queste
persone, mi ha dato la sensazione di una conversazione forzata e artificiosa.
Là dove prima c’era stato un  terreno di  scambio comune,  ora  restava solo
disagio.
Quasi subito, dopo aver notato i cambiamenti avvenuti in quei rapporti, mi resi
conto di un fenomeno nuovo per me. Ognuno dei rapporti interpersonali che spariva dalla mia esistenza era basato sullo stesso schema che ci  aveva
originariamente portato le ultime tre persone… lo schema del giudizio. Oltre a
essere  il  magnete che aveva attirato verso di  me quei   rapporti,   il  giudizio
aveva   rappresentato   anche   la   colla   che   li   teneva   insieme.   In   assenza di
giudizio, la colla si era sciolta. Notai che quello aveva tutta l’apparenza di un
effetto a catena. Una volta riconosciuto lo schema in un punto – in uno di quei
rapporti – la sua eco era scomparsa anche a molti altri livelli della mia vita.
Gli specchi del giudizio sono sottili, elusivi, e forse non sempre avranno senso
per chiunque ne divenga consapevole. Quando i miei amici e familiari seppero
della mia decisione di   “non  fare niente”  pensarono che stessi  vivendo nel
diniego di ciò che mi era accaduto. «Lei ha preso i tuoi soldi!» mi dicevano.
«Ha violato  la tua fiducia! Ti ha lasciato al  verde!». A un certo livello le  loro
osservazioni   erano   abbastanza   vere   –   tutte   quelle   cose   erano   accadute
davvero.  Avevo però  la sensazione che se avessi  seguito  il  solito modello
dell’occhio per  occhio,  dente per  dente,  mi   sarei   ritrovato dentro  il  circolo
vizioso di  pensiero che alimenta proprio quel   tipo di  dinamiche.  A un altro
livello, essendo semplicemente se stessa,  ciascuna di  quelle  tre persone mi
aveva mostrato un aspetto di  me che sarebbe divenuto  il   fulcro delle mie
future   decisioni   d’affari.   Si   era   trattato   di   una   vigorosa   lezione   nel
discernimento della fiducia.
Prima di allora, mi ero voluto convincere che la fiducia è un fatto binario. Cioè,
o ci   fidiamo,  o non ci   fidiamo di  qualcuno  –  e se ci   fidiamo,   la  fiducia può
essere totale. Anche se non mi piaceva pensare che il mondo fosse diverso da
come lo volevo, quei tre rapporti mi avevano insegnato che esistono dei livelli
variabili  di   fiducia,  che dobbiamo  imparare a discernere negli  altri.  Spesso
diamo più responsabilità a una persona di quanta se ne possa assumere,  o
diamo a qualcuno più fiducia di quanta quella persona ne abbia in se stessa. A me era capitato proprio questo.
Quando si riconosce la proiezione del proprio giudizio in un rapporto, si tratta
di una grande scoperta che andrà a riflettersi su ogni aspetto della propria vita.
Ringrazio le persone che mi hanno aiutato durante quella lezione. A quelli che
mi   hanno   invece  mostrato   la  mia   vulnerabilità,   offro   profondo   rispetto e
gratitudine   per   aver   sorretto   impeccabilmente   lo   specchio   davanti ai  miei
occhi. Che splendida convalida del mistero del secondo specchio dei rapporti
umani!
(Nota: Nella storia che precede, ho fatto allusione al dissolvimento della carica
negativa del giudizio, senza descrivere specificamente come può svolgersi un
tale atto di pacificazione. Si parla diffusamente di questo argomento nel mio libro “La   scienza   perduta   della   preghiera”  [N.d.T.;  Macro  Edizioni,   2006]   in
termini di “Il Terzo Segreto: il rilascio del dolore attraverso la benedizione”. Per
riassumere   questo   potente   strumento   di   trasformazione   dei   nostri   giudizi
negativi, la benedizione è l’antico segreto che ci libera dalle sofferenze della
vita   abbastanza   a   lungo   da   permetterci   di   sostituire   al   dolore   un   altro
sentimento.  Quando benediciamo  le cose o  le persone che ci  hanno  feriti,
sospendiamo  temporaneamente  il ciclo del  dolore.  Sia che  la pausa duri  un
millesimo di secondo o un giorno intero, non fa differenza. Qualunque sia la
durata  del   gesto,  quando  benediciamo   si   spiana  la  strada  per  permettere
l’inizio della nostra guarigione e per farci voltare pagina nella vita. La chiave di
tutto sta nel fatto che per quel dato intervallo di tempo siamo messi al riparo
dal  nostro dolore quanto basta per   lasciar  entrare qualcos’altro  nel  nostro
sentire e nella nostra mente: il potere della “bellezza”).

da “La Matrix Divina”