Apr 7 2014
Gregg Braden – Cinque antichi specchi dei rapporti umani – I° specchio
CINQUE ANTICHI SPECCHI DEI RAPPORTI UMANI
Primo specchio: Riflessi del momento presente
Secondo specchio: Riflessi di ciò che giudichiamo nel presente
Terzo specchio: Riflessi di ciò che abbiamo perso, ceduto, o ci siamo
fatti portare via
Quarto specchio: Riflessi della nostra Notte oscura dell’anima
Quinto specchio: Riflessi del nostro più grande atto di Compassione
In generale, gli specchi più ovvi vengono riconosciuti per primi, permettendo al potere di quelli più profondi e impalpabili di emergere e di manifestarsi.
Nei paragrafi che seguono, esploreremo i cinque specchi dei rapporti umani,
partendo dal più ovvio per giungere al più impercettibile. La soluzione di
ciascuno in sequenza rappresenta un’equazione in codice che ci consente la
più estesa forma di guarigione, nel minor tempo possibile. La ricerca
scientifica ha dimostrato che nel cambiare i sentimenti che proviamo su ciò
che ci è accaduto in passato, modifichiamo la nostra chimica corporea nel
presente. Vivere in un universo in cui i sentimenti che proviamo per noi stessi
si riflettono nel mondo circostante rende più importante che mai sia saper
riconoscere cosa ci comunicano i nostri rapporti, sia imparare a leggere i
messaggi della Matrix Divina.
IL PRIMO SPECCHIO: RIFLESSI DEL MOMENTO PRESENTE
«Voi esaminate l’aspetto del cielo e della terra, ma non siete arrivati a
comprendere colui che è di fronte a voi, e non sapete come interpretare il
momento attuale»2. Il Vangelo di Tommaso
Gli animali sono specchi fantastici per smuovere le sottili emozioni che
chiamiamo col nome di “problemi”. Nell’innocenza del loro essere
semplicemente se stessi, possono accendere potenti sentimenti di controllo e di
giudizio sul modo in cui le cose dovrebbero o non dovrebbero essere. I gatti
ne sono un esempio perfetto.
La mia prima esperienza con queste creature cominciò nell’inverno del 1980.
Lavoravo come geologo informatico per una compagnia petrolifera e vivevo in
un miniappartamento a Denver. Come membro del dipartimento di servizi
tecnici, appena costituito, passavo la maggior parte delle mie giornate, le sere
e i fine settimana a imparare i dettagli dei nuovi computer e ad applicare ciò che avevo imparato ai concetti tradizionali della geologia petrolifera. Non
avevo realmente preso in considerazione l’idea di avere un animale
domestico, semplicemente perché non ero a casa abbastanza a lungo per
potermene prendere cura.
Un fine settimana un mio amico venne a trovarmi e mi portò un regalo
inatteso: uno splendido gattino dal pelo rossiccio e biondo di circa cinque
settimane. Era il più piccolo della cucciolata e l’avevano chiamato Tigger,
come la tigre dei classici libri per bambini di Winnie-the-Pooh. Anche se non
era permesso tenere animali nell’appartamento, fui subito attratto da Tigger e
scoprii che l’imponente presenza che racchiudeva nel suo piccolo corpo aveva
aggiunto talmente tanto alla mia vita, che ne sentivo la mancanza quando lui
non c’era. Dicendo a me stesso che era solo una cosa temporanea, decisi di
forzare un po’ le regole e di tenerlo. Presto detto, Tigger e io eravamo diventati
una famiglia.
Cominciai subito a istruire il mio nuovo amico sul rispetto delle “zone proibite”
della casa. Gli fu insegnato a non salire sui divani, sui banconi della cucina e
sopra il frigorifero. Soprattutto, quando ero al lavoro non gli era permesso di
accovacciarsi sul davanzale della finestra dove tutti lo potevano vedere. Ogni
volta che tornavo a casa lo trovavo appisolato in uno dei posti che gli erano
concessi. Tutto sembrava funzionare alla perfezione in quel nostro rapporto
segreto. Un giorno tornai a casa dall’ufficio in anticipo. Quando aprii la porta dell’appartamento, Tigger fu svegliato da un profondo sonno felino mentre era
adagiato proprio sul bancone accanto al lavandino – un punto che sapeva con
certezza essergli proibito. Vedendomi arrivare, rimase sorpreso quanto me nel
trovarlo sopra il bancone. Saltò giù immediatamente, tornando al suo posto
sopra il letto, e aspettò di vedere la mia prossima mossa. Ora mi ero
incuriosito: si era trattato di un incidente isolato, o era quello che succedeva
ogni volta che uscivo di casa per andare al lavoro? Conosceva i miei
movimenti talmente bene da farsi trovare nel posto giusto al momento giusto,
proprio quando arrivavo a casa ogni sera?
Quel giorno feci un esperimento. Uscii sul ballatoio, che si affacciava su una
splendida zona verde, mi nascosi dietro le tende e mi misi in attesa, facendo
finta di essermene andato al lavoro. Pochi minuti dopo Tigger saltò giù dal
letto e andò dritto in cucina. Credendo che me ne fossi andato, tornò nella sua
postazione sul bancone vicino al tostapane e alla centrifuga. Stava talmente
comodo in quel punto, che cominciò ad appisolarsi e cadde ben presto in un
sonno profondo accanto al lavandino, un posto dove non sarebbe mai andato
se avesse saputo che ero in casa. Fu soltanto quando parlai con amici che avevano dei gatti, che mi resi conto di qualcosa che probabilmente tutti i proprietari di felini all’infuori di me sapevano già: un gatto non si lascia istruire! Anche se certamente esistono delle eccezioni, generalmente i gatti si comportano da gatti. Adorano i punti elevati e finiscono sempre per aggirarsi sui più alti – proprio quei ripiani, frigoriferi e davanzali che costituiscono le zone proibite. Sebbene possano rispettare le regole in presenza dei padroni, quando restano da soli i gatti sono i sovrani del loro mondo.
GLI SPECCHI SONO OVUNQUE
Il motivo per cui ci tengo a raccontare questa storia riguarda l’“effetto” che il
comportamento di Tigger ebbe su di me. Col suo comportamento naturale,
scatenò in me una frustrazione che rasentava la rabbia. Mi guardava dritto
negli occhi e sapevo che era totalmente consapevole dei confini che doveva
rispettare. Però continuava ad agire contro le regole e a fare quello che
voleva, quando voleva lui. Forse non fu per coincidenza, che in quel periodo di sfide fra me e il mio gatto,
notai dei parallelismi in termini di frustrazioni sul lavoro. In effetti sembrava
quasi che le persone che erano sotto la mia supervisione mi facessero esattamente quello che mi faceva Tigger: ignoravano le mie istruzioni riguardo
ai nostri progetti. Dopo un pomeriggio particolarmente difficile, una mia
collaboratrice venne nel mio ufficio e mi chiese perché non le lasciavo
semplicemente fare il suo lavoro. Le avevo assegnato un compito da svolgere
e lei aveva la sensazione che la tallonassi da vicino in ogni fase del suo
svolgimento. Più tardi quella stessa sera, entrai nel mio appartamento e
ancora una volta trovai Tigger nella zona proibita sul bancone della cucina.
Stavolta mi guardò, ma non si fece nessuno scrupolo per muoversi da lì. Ero furioso!
Mentre mi sedevo sul divano per riflettere su cosa mi veniva mostrato, notai il
parallelismo fra la “mancanza di rispetto” di Tigger per le mie regole e quello
che sembrava un atteggiamento simile da parte dei miei collaboratori.
Attraverso due esperienze simultanee apparentemente non correlate, sia il
gatto che i miei collaboratori mi avevano mostrato un aspetto importante di
me. Tutti mi avevano rispecchiato uno schema talmente impalpabile, che fino
a quel momento mi era sfuggito a livello conscio. Sarebbe diventato il primo di
una serie di riflessi che avrei dovuto riconoscere in me stesso, prima di poter
guarire quelli ancora più sottili e potenti che esistevano negli altri rapporti che
avevo. Negli anni ’60 e ’70 era comune sentir dire dai counselor personali che se non
ci piace ciò che ci sta mostrando il mondo esterno, bisogna guardarsi dentro.
Si insegnava che tutto, dalla rabbia espressa dai colleghi, al tradimento della
nostra fiducia, rappresenta un riflesso delle nostre più profonde convinzioni.
Gli schemi con cui tendiamo a identificarci di più sono spesso proprio quelli
che non riusciamo nemmeno a scorgere nella nostra vita. Questo scenario
dipinge esattamente ciò che stava accadendo a me, a causa di Tigger e dei
miei colleghi di lavoro.
Non sto dicendo che i miei collaboratori fossero in qualche modo consapevoli
di farmi da specchio o di come quello schema si dispiegasse nella mia vita – di
ciò sono quasi certo. Semplicemente si tratta di questo: attraverso le
dinamiche che si erano stabilite fra noi, avevo potuto scorgere qualcosa di me
stesso che era stato portato in superficie da loro. In quel periodo della mia vita,
era lo specchio del controllo. Poiché il riflesso si era manifestato nel momento
stesso, anziché dopo ore o perfino giorni, riuscivo a vedere il collegamento fra
il mio comportamento e le loro reazioni. Il feedback immediato era l’elemento
chiave di quella lezione di vita.
LO SPECCHIO DEL PRESENTE
Se osserviamo gli studi antropologici sulle tribù nascoste dell’Asia, notiamo
subito quanto sia importante riconoscere il rapporto fra le nostre azioni e ciò
che accade nei mondo. Quando gli esploratori scoprirono una di quelle tribù
“perdute” (naturalmente erano perdute solo per noi occidentali, poiché loro
sapevano esattamente chi erano e dove si trovavano), furono sorpresi di
scoprire che i suoi componenti non stabilivano nessun collegamento fra il
rapporto sessuale e la gravidanza. La lunghezza del periodo di tempo
trascorso tra l’atto sessuale e la nascita di un bambino era tale da non rendere
ovvio, per loro, il legame esistente fra i due eventi. Questo è proprio il valore
dei nostri specchi – con la loro immediatezza ci fanno capire le connessioni
concrete e nascoste fra eventi apparentemente disparati.
Se identifichiamo le nostre convinzioni mentre si palesano nei nostri specchi,
allora significa che appartengono a quel momento. Qualunque riflesso si
riesca a percepire ci offre una preziosa opportunità. Una volta riconosciuto uno
schema negativo, lo si può guarire in un battito di ciglia! Il fatto stesso di
riconoscerlo ci dà la prima indicazione sul perché esiste. Molto spesso,
scopriamo che gli schemi negativi che si riflettono sulla nostra vita traggono
origine da una delle tre paure universali discusse nel capitolo precedente.
Quando osserviamo in tempo reale il riflesso delle nostre convinzioni nei
rapporti interpersonali, sperimentiamo il primo dei nostri specchi, che
rappresenta proprio questo: lo specchio del momento presente. Talvolta,
tuttavia, il riflesso del momento può mostrarci qualcosa di ben più sottile di un
comportamento che abbiamo — può cioè rivelarci quello che, giudichiamo
nella vita. Quando ciò accade, sperimentiamo il secondo specchio dei rapporti
umani.
da “La Matrix Divina”