Gregg Braden – Cinque antichi specchi dei rapporti umani – I° specchio

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CINQUE ANTICHI SPECCHI DEI RAPPORTI UMANI

Primo specchio: Riflessi del momento presente

Secondo specchio:  Riflessi di ciò che giudichiamo nel presente

Terzo specchio: Riflessi di ciò che abbiamo perso, ceduto, o ci siamo
fatti portare via

Quarto specchio: Riflessi della nostra Notte oscura dell’anima

Quinto specchio: Riflessi del nostro più grande atto di Compassione

In generale, gli specchi più ovvi vengono riconosciuti per primi, permettendo al potere di quelli più profondi e impalpabili di emergere e di manifestarsi.
Nei paragrafi che seguono, esploreremo i cinque specchi dei rapporti umani,
partendo   dal   più   ovvio   per   giungere   al   più   impercettibile.  La  soluzione di
ciascuno in sequenza rappresenta un’equazione in codice che ci consente la
più   estesa   forma   di   guarigione,   nel   minor   tempo   possibile.   La   ricerca
scientifica ha dimostrato che nel  cambiare  i sentimenti  che proviamo su ciò
che ci  è accaduto  in passato,  modifichiamo  la nostra chimica corporea nel
presente. Vivere in un universo in cui i sentimenti che proviamo per noi stessi
si   riflettono nel  mondo circostante  rende più  importante che mai  sia saper
riconoscere cosa ci  comunicano  i  nostri   rapporti,  sia  imparare a  leggere  i
messaggi della Matrix Divina.

IL PRIMO SPECCHIO: RIFLESSI DEL MOMENTO PRESENTE

«Voi   esaminate   l’aspetto   del   cielo   e   della   terra,  ma   non   siete   arrivati   a
comprendere colui  che è di   fronte a voi,  e non sapete come  interpretare  il
momento attuale»2. Il Vangelo di Tommaso
Gli   animali   sono   specchi   fantastici   per   smuovere   le   sottili   emozioni   che
chiamiamo   col   nome   di   “problemi”.   Nell’innocenza   del  loro   essere
semplicemente se stessi, possono accendere potenti sentimenti di controllo e di
giudizio sul modo in cui le cose dovrebbero o non dovrebbero essere.  I  gatti
ne sono un esempio perfetto.
La mia prima esperienza con queste creature cominciò nell’inverno del 1980.
Lavoravo come geologo informatico per una compagnia petrolifera e vivevo in
un miniappartamento  a Denver.  Come  membro del   dipartimento  di   servizi
tecnici, appena costituito, passavo la maggior parte delle mie giornate, le sere
e i fine settimana a imparare i dettagli dei nuovi computer e ad applicare ciò che   avevo   imparato   ai   concetti   tradizionali   della   geologia   petrolifera.  Non
avevo   realmente   preso   in   considerazione   l’idea   di   avere   un   animale
domestico,  semplicemente perché non ero a casa abbastanza a  lungo per
potermene prendere cura.
Un   fine   settimana   un  mio   amico   venne   a   trovarmi   e  mi   portò   un   regalo
inatteso:  uno splendido gattino dal  pelo  rossiccio e biondo di  circa cinque
settimane.  Era  il  più piccolo della cucciolata e  l’avevano  chiamato Tigger,
come la tigre dei classici libri per bambini di  Winnie-the-Pooh.  Anche se non
era permesso tenere animali nell’appartamento, fui subito attratto da Tigger e
scoprii che l’imponente presenza che racchiudeva nel suo piccolo corpo aveva
aggiunto talmente tanto alla mia vita, che ne sentivo la mancanza quando lui
non c’era. Dicendo a me stesso che era solo una cosa temporanea, decisi di
forzare un po’ le regole e di tenerlo. Presto detto, Tigger e io eravamo diventati
una famiglia.
Cominciai subito a istruire il mio nuovo amico sul rispetto delle “zone proibite”
della casa. Gli fu insegnato a non salire sui divani, sui banconi della cucina e
sopra il frigorifero. Soprattutto, quando ero al lavoro non gli era permesso di
accovacciarsi sul davanzale della finestra dove tutti lo potevano vedere. Ogni
volta che tornavo a casa lo trovavo appisolato in uno dei posti che gli erano
concessi.  Tutto sembrava  funzionare alla perfezione  in quel  nostro rapporto
segreto. Un   giorno   tornai   a   casa   dall’ufficio   in   anticipo.   Quando   aprii   la   porta dell’appartamento, Tigger fu svegliato da un profondo sonno felino mentre era
adagiato proprio sul bancone accanto al lavandino – un punto che sapeva con
certezza essergli proibito. Vedendomi arrivare, rimase sorpreso quanto me nel
trovarlo sopra  il  bancone.  Saltò giù  immediatamente,   tornando al  suo posto
sopra   il   letto,   e   aspettò   di   vedere   la  mia   prossima  mossa.  Ora  mi   ero
incuriosito: si era trattato di un incidente isolato, o era quello che succedeva
ogni   volta   che   uscivo   di   casa   per   andare   al   lavoro?   Conosceva   i  miei
movimenti talmente bene da farsi trovare nel posto giusto al momento giusto,
proprio quando arrivavo a casa ogni sera?
Quel giorno feci un esperimento. Uscii sul ballatoio, che si affacciava su una
splendida zona verde, mi nascosi dietro le tende e mi misi in attesa, facendo
finta di  essermene andato al   lavoro.  Pochi  minuti  dopo Tigger  saltò giù dal
letto e andò dritto in cucina. Credendo che me ne fossi andato, tornò nella sua
postazione sul bancone vicino al tostapane e alla centrifuga.  Stava  talmente
comodo in quel punto, che cominciò ad appisolarsi e cadde ben presto in un
sonno profondo accanto al lavandino, un posto dove non sarebbe mai andato
se avesse saputo che ero in casa. Fu soltanto quando parlai con amici che avevano dei gatti, che mi resi conto di qualcosa che probabilmente tutti i proprietari di felini all’infuori di me sapevano già:   un   gatto   non   si   lascia   istruire!   Anche   se certamente   esistono   delle eccezioni, generalmente i gatti si comportano da gatti. Adorano i punti elevati e finiscono sempre per aggirarsi sui più alti – proprio quei ripiani, frigoriferi e davanzali  che costituiscono  le zone proibite.  Sebbene possano rispettare  le regole in presenza dei padroni, quando restano da soli i gatti sono i sovrani del loro mondo.

GLI SPECCHI SONO OVUNQUE

Il motivo per cui ci tengo a raccontare questa storia riguarda l’“effetto” che il
comportamento di  Tigger  ebbe su di  me.  Col  suo comportamento naturale,
scatenò  in me una  frustrazione che  rasentava  la  rabbia.  Mi  guardava dritto
negli occhi e sapevo che era totalmente consapevole dei confini che doveva
rispettare.  Però   continuava   ad   agire  contro   le   regole   e  a  fare  quello   che
voleva, quando voleva lui. Forse non fu per coincidenza, che in quel periodo di sfide fra me e il mio gatto,
notai  dei  parallelismi   in  termini  di   frustrazioni  sul   lavoro.   In effetti  sembrava
quasi   che   le   persone   che   erano   sotto   la  mia   supervisione  mi   facessero esattamente quello che mi faceva Tigger: ignoravano le mie istruzioni riguardo
ai   nostri   progetti.   Dopo   un   pomeriggio   particolarmente   difficile,   una  mia
collaboratrice   venne   nel  mio   ufficio   e  mi   chiese   perché   non   le   lasciavo
semplicemente fare il suo lavoro. Le avevo assegnato un compito da svolgere
e  lei  aveva  la sensazione che  la  tallonassi  da vicino  in ogni   fase del  suo
svolgimento.  Più   tardi   quella   stessa   sera,   entrai   nel  mio   appartamento e
ancora una volta  trovai  Tigger nella zona proibita sul  bancone della cucina.
Stavolta mi guardò, ma non si fece nessuno scrupolo per muoversi da lì. Ero furioso!
Mentre mi sedevo sul divano per riflettere su cosa mi veniva mostrato, notai il
parallelismo fra la “mancanza di rispetto” di Tigger per le mie regole e quello
che   sembrava   un   atteggiamento   simile   da   parte   dei   miei   collaboratori.
Attraverso due esperienze simultanee apparentemente non correlate,  sia  il
gatto che  i  miei  collaboratori  mi  avevano mostrato un aspetto  importante di
me. Tutti mi avevano rispecchiato uno schema talmente impalpabile, che fino
a quel momento mi era sfuggito a livello conscio. Sarebbe diventato il primo di
una serie di riflessi che avrei dovuto riconoscere in me stesso, prima di poter
guarire quelli ancora più sottili e potenti che esistevano negli altri rapporti che
avevo.  Negli anni ’60 e ’70 era comune sentir dire dai counselor personali che se non
ci piace ciò che ci sta mostrando il mondo esterno, bisogna guardarsi dentro.
Si insegnava che tutto, dalla rabbia espressa dai colleghi, al tradimento della
nostra  fiducia,  rappresenta un riflesso delle nostre più profonde convinzioni.
Gli schemi  con cui   tendiamo a  identificarci  di  più sono spesso proprio quelli
che non  riusciamo nemmeno a scorgere nella nostra vita.  Questo scenario
dipinge esattamente ciò che stava accadendo a me, a causa di Tigger e dei
miei colleghi di lavoro.
Non sto dicendo che i miei collaboratori fossero in qualche modo consapevoli
di farmi da specchio o di come quello schema si dispiegasse nella mia vita – di
ciò   sono   quasi   certo.   Semplicemente   si   tratta   di   questo:   attraverso   le
dinamiche che si erano stabilite fra noi, avevo potuto scorgere qualcosa di me
stesso che era stato portato in superficie da loro. In quel periodo della mia vita,
era lo specchio del controllo. Poiché il riflesso si era manifestato nel momento
stesso, anziché dopo ore o perfino giorni, riuscivo a vedere il collegamento fra
il mio comportamento e le loro reazioni. Il  feedback  immediato era l’elemento
chiave di quella lezione di vita.

LO SPECCHIO DEL PRESENTE

Se osserviamo gli  studi  antropologici  sulle  tribù nascoste dell’Asia,  notiamo
subito quanto sia importante riconoscere il rapporto fra le nostre azioni e ciò
che accade nei mondo. Quando gli esploratori scoprirono una di quelle tribù
“perdute”   (naturalmente erano perdute solo per  noi  occidentali,  poiché  loro
sapevano   esattamente   chi   erano  e   dove  si   trovavano),   furono  sorpresi   di
scoprire  che  i   suoi  componenti  non stabilivano nessun  collegamento  fra  il
rapporto   sessuale   e   la   gravidanza.   La   lunghezza   del   periodo   di   tempo
trascorso tra l’atto sessuale e la nascita di un bambino era tale da non rendere
ovvio, per loro, il legame esistente fra i due eventi. Questo è proprio il valore
dei  nostri  specchi  – con  la  loro  immediatezza ci   fanno capire  le connessioni
concrete e nascoste fra eventi apparentemente disparati.
Se identifichiamo le nostre convinzioni mentre si palesano nei nostri specchi,
allora   significa   che   appartengono   a   quel  momento.  Qualunque   riflesso   si
riesca a percepire ci offre una preziosa opportunità. Una volta riconosciuto uno
schema negativo,   lo si  può guarire  in un battito di  ciglia!   Il   fatto stesso di
riconoscerlo   ci   dà   la   prima   indicazione   sul   perché   esiste.  Molto   spesso,
scopriamo che gli  schemi negativi  che si riflettono sulla nostra vita traggono
origine da una delle tre paure universali discusse nel capitolo precedente.
Quando   osserviamo   in   tempo   reale   il   riflesso   delle   nostre   convinzioni   nei
rapporti   interpersonali,   sperimentiamo   il   primo   dei   nostri   specchi,   che
rappresenta   proprio   questo:   lo   specchio   del  momento   presente.   Talvolta,
tuttavia, il riflesso del momento può mostrarci qualcosa di ben più sottile di un
comportamento che abbiamo — può cioè  rivelarci  quello  che,  giudichiamo
nella vita. Quando ciò accade, sperimentiamo il secondo specchio dei rapporti
umani.

da “La Matrix Divina”