I gradi dell’amore

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«Dapprima uno ama soltanto quando è amato.
È lo stato degli esseri umani. Occorre la vibrazione amorosa di qualcuno che venga a risvegliare l’amore, altrimenti c’è solo l’inerzia.
Poi ama spontaneamente,
ma vuole essere ricambiato.
Qui siamo a una umanità già un po’ più sviluppata. D’improvviso uno sente l’amore: incontra qualcuno o qualcosa — ah — e succede! Solo che ognuno ci tiene parecchio a essere ricambiato.
Poi uno ama anche se non è amato,
ma ancora ci tiene che il suo amore sia accettato.
Di solito si tratta di persone arrivate a uno stato yogico piuttosto avanzato. […] C’è un momento in cui uno è assolutamente in grado di amare senza essere corrisposto, perché è superiore al bisogno di essere contraccambiato; però ha ancora… non propriamente il bisogno, ma una tendenza che il suo amore sia sentito e abbia effetto. Una cosa che più tardi fa sorridere.
Alla fine è Amore puro e semplice,
senza altro bisogno né altra gioia che quella di amare.
E questa per me, per la mia esperienza personale, è veramente l’onnipotenza.
È un potere capace di realizzare qualsiasi cosa — qualsiasi cosa. Non c’è niente di impossibile per un potere del genere.»
MÈRE
«Nell’amore umano vi sono diversi moventi ispiratori. Esiste un amore umano psichico che sorge da dentro, dal profondo, e che è il risultato dell’incontro da parte dell’essere interiore con ciò che aspira verso una gioia e una unione divina; esso è, una volta fattosi cosciente di sé, qualcosa di duraturo, di auto-esistente, non dipendente da appagamenti esterni, incapace di affievolirsi per motivazioni esterne, privo di auto-compiacimento, indisposto a domandare o mercanteggiare ma capace di donarsi in modo semplice e spontaneo, mai spinto o soggetto a fraintendimenti, delusioni, struggimento e odio; piuttosto, è sempre teso in modo diretto verso l’unione interiore. È questo amore psichico che è il più prossimo all’amore divino e che costituisce pertanto la giusta e migliore espressione di amore e bhakti. Tuttavia, questo non significa che le altre parti dell’essere, incluse il vitale e il fisico, non debbano essere utilizzate come mezzi espressivi o che non debbano avere alcun ruolo nel pieno gioco e nel senso completo dell’amore, perfino dell’amore divino. Al contrario, essi sono degli strumenti e possono rivestire un ruolo rilevante nella completa espressione dell’amore divino — purché seguano il movimento giusto e non quello errato —, colmo di gioia e di fiducia e di abbandono, generoso, disinteressato, incapace di lagnarsi, totalmente assoluto nel suo offrirsi, e questo è quanto di più vicino allo psichico possa esistere e quanto di più opportuno per costituirne il suo complemento e un mezzo di espressione dell’amore divino. E non è neppure vero che l’amore psichico o l’amore divino disprezzi i mezzi fisici di espressione, quando questi sono puri e giusti e plausibili; non dipende da essi, non si sente sminuito, non si ribella e non si smorza come una candela spenta quando viene privato di tali mezzi; ma quando può farne uso, se ne serve con gioia e gratitudine. […] Esiste però un altro tipo di amore vitale, che è più comunemente il modo della natura umana e che è dettato dall’ego e dal desiderio. È pieno di appetiti vitali, di desideri e richieste; la sua continuità dipende dal soddisfacimento delle sue esigenze; se non ottiene ciò per cui brama, o se anche soltanto immagina di non essere trattato come merita (dato che è pieno di immaginazioni, incomprensioni, gelosie e fraintendimenti), ecco che si ripiega immediatamente nel dolore, nel sentirsi ferito, nell’odio, in ogni tipo di disordine, fino a smettere di amare e di volgersi altrove. Un amore di questo tipo è nella sua vera natura effimero e inaffidabile e non può essere posto a fondamento dell’amore divino.»
Sri Aurobindo