Giudizio Meta-giudizio e Narcisismo

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Giudizio

Giudizio è inserire un fatto o un evento in uno schema culturale precostituito, che s’incentra su un valore:  giustizia, bellezza, libertà, gentilezza, responsabilità.

Lo schema diventa il filtro attraverso cui interpretiamo l’evento, come buono o cattivo, giusto o sbagliato, ecc.

Lo schema diventa l’interpretante che fornisce risposta alla nostra domanda di significato rispetto all’evento.

 

Meta-giudizio

Il giudizio sembra un fatto naturale: se si vuol comprendere, se si vuol attribuire senso alle cose che succedono intorno a noi, se si vuol decidere con cognizione di causa, non si può evitare di giudicare, cioè di attribuire un valore positivo o negativo.

Ora, dire che il giudizio è un fatto naturale, come naturale è il bisogno di comprendere, significa attribuire al giudizio un valore positivo: non si può non giudicare per vivere, quindi giudicare è bene. Se guardiamo attentamente, anche questo è un giudizio: un giudizio sul giudizio.

Ma un giudizio sul giudizio non è un semplice giudizio, uno tra i tanti possibili giudizi sui più diversi contenuti, fatti, eventi. No, un giudizio sul giudizio è un meta-giudizio, che appartiene ad un livello logico diverso, più astratto, più alto, rispetto ad un comune giudizio.

Dalla risposta che diamo al meta-giudizio, dipende il significato che attribuiamo alla classe di tutti i possibili giudizi.

Un conto è dire: non giudicare male quest’uomo (ingiunzione sul singolo giudizio); un conto è dire: non giudicare, né bene, né male, né in questo, né in altri casi.

 

Bilancia strutturale

Nel modello della bilancia strutturale, il giudizio è la barriera che si frappone tra l’io-governo e l’anima. Se si pratica il giudizio, l’anima non può più far sentire la sua voce. L’io-governo perde la sua bussola, la sua guida. Il cocchiere (io-governo) può ancora tenere a bada il cavallo (emozioni) e salvare il carro (corpo) dalla distruzione, ma il padrone del carro (anima) non può più indicare la rotta.

Solo in assenza di giudizio, le qualità dell’essere, o qualità dell’amore, nucleo dell’anima, possono irradiare l’io. Al posto del giudizio non si forma un vuoto. Se il giudizio si ritira, non significa che entriamo in balia dell’indifferenziato e della confusione, tipici del pre-personale o della follia (Bleuler, Jung, Ken Wilber). Un io-ben formato, al posto del giudizio, utilizza il discernimento. Distingue, ma non giudica, individua una figura, ma non la separa dalle altre, isolandola dallo sfondo. Mantenendo la connessione, non apre le porte alla violenza, che è in primo luogo violazione della verità, la verità ubuntica, dell’inter-essere, dell’advaita, della non dualità. Nei termini della nostra tradizione religiosa, della coscienza cristica.

 

Perdono e umiltà

Nel vangelo è scritto: non giudicate o sarete giudicati; non guardate la pagliuzza nell’occhio del vicino, ma la trave che è nel vostro; quante volte dobbiamo perdonare? Settanta volte sette, cioè un numero infinito di volte.

Ma perdonare significa lasciar andare il giudizio negativo, rinunciare a giudicare in ogni caso, rinunciare ad inserire un fatto nuovo in un vecchio schema, consolidato, condiviso, trasmessoci dalla cultura. Significa rinunciare alla sicurezza che deriva dall’adesione ad ogni regola precostituita, compiendo nello stesso tempo un atto di grande coraggio, fede e umiltà. Coraggio perché si tratta di abbandonare il già noto, codificato in uno schema culturale, al quale comunemente ci aggrappiamo, per ricevere sostegno ai bisogni di appartenenza e identità. Coraggio di avventurarsi nell’ignoto, dove non apparteniamo più a nulla e dove possiamo scoprirci diversi da come credevamo di essere, rinunciando a false sicurezze, fondate su immagini di noi stessi e del mondo.

Fede perché il vero coraggio presuppone la capacità di affidarsi a qualcosa di più grande, di apparentemente inconoscibile, che può essere solo avvertito, sentito, intuito, ma non spiegato dalla mente ordinaria, dalla facoltà che comunemente chiamiamo ragione, in opposizione al cuore, al sentimento.

Umiltà perché la conoscenza accumulata, consentita dalla cultura, dalla storia, dalla tradizione, è il fondamentale orgoglio umano. Orgoglio che ci fa credere diversi e superiori agli altri animali – guidati dagli istinti e dalla natura, non dalla cultura -, autorizzati perciò a dominare e depredare il mondo, anziché armonizzarci ad esso.

 

Giudizio e narcisismo

Solo rinunciando alla presunzione narcisistica di conoscere, di giudicare il presente sulle basi degli schemi e delle regole del passato, possiamo aprirci ad una conoscenza assai più vasta e profonda, la conoscenza della grande mente, che tutto accoglie senza separare, e nel cui terreno nasce la compassione, l’intelligenza del cuore, un’intelligenza infinitamente più grande di quella della piccola mente o del piccolo io, che si radica non sulla compassione, ma sul bisogno di inquadrare, etichettare, regolare la realtà entro schemi definiti, prevedibili, rigidi.

Non si comprende nulla del narcisismo se non si comprende la natura del giudizio. Non casualmente il narcisista giudica, emette sentenze, è perentorio, si dà ragione. Non casualmente il narcisista teme il giudizio degli altri. Lo teme perché, per la dinamica dell’ombra, è lui stesso a giudicare. Chi non giudica, non teme il giudizio. Non teme il giudizio perché non giudica il giudizio degli altri, non si contrappone, rimane morbido, non ha bisogno di convincere, di ottenere riconosciuta la sua ragione.

 

Intimità e conoscenza

Chi giudica impedisce l’intimità. Non posso aprirmi completamente ad un altro essere umano, se egli pratica il giudizio.

Chi giudica non abita la freschezza del presente, ma il già vissuto, conosciuto, catalogato del passato, non il flusso della realtà, ma gli schemi e le norme che la etichettano per controllarla; chi giudica, chi emette sentenze, chi afferma con perentoria sicurezza come stanno le cose, non ascolta, perché non c’è vero ascolto senza presenza ed empatia; non ama, perché non c’è vera conoscenza e comprensione se permangono le barriere del giudizio.

Come non conosco l’altro, non posso aprirmi alla conoscenza di me, finché non mi sono liberato dalla piaga del giudizio, dalla paura del giudizio, perché da questa paura l’ombra è continuamente alimentata.

 

Immagini e false relazioni

Non posso conoscere me, non posso conoscere gli altri. Vivo nelle immagini, non nella realtà: immagini di me, immagini degli altri. Un cumulo di illusioni stratificate nel tempo. Le mie relazioni sono relazioni falsate dalle immagini, che come filtri si interpongono tra le persone reali.

 

Giudizio e amore

Il giudizio è l’opposto dell’amore. L’amore è riconoscere che l’altro, come me, è fatto di tante parti. Il giudizio mi separa dall’altro, lo tiene a distanza. Lo tiene a distanza perché io temo di riconoscermi uguale all’altro, nelle parti di lui che non mi piacciono. Per tenerle nell’ombra, devo vederle solo in lui.

Giudicando l’altro, non posso provare compassione né per me né per lui. Creando separazione, distanza, mancanza d’intimità, isolo la mia relazione con l’altro dal fiume della vita, per sua natura mutevole, cangevole, mai uguale a se stessa. La rendo morta, sterile, nevrotica, infelice. E facendo questo, mi illudo di perseguire il mio bene, e talvolta, ancora peggio, credo di perseguire anche il suo. Continuando a giudicare, giudico me buono, l’altro cattivo, fuori strada, bisognoso di correzione sulla base delle regole che sostengono il mio giudizio.

“Un uomo che afferma di sapere quale è il bene per gli altri è pericoloso”, dice Sri Nisargadatta Maharaj (Io sono quello, Ubaldini)

 

Giudizio e narcisismo

Perché narcisismo e giudizio sono due facce della stessa medaglia? Perché essenza del narcisismo è la grandiosità, l’io  più grande, il migliore, io speciale, superiore. Questo però è solo un aspetto del narcisismo, che Kohut chiama sé grandioso. Poi c’è il complementare: io sono nulla, ma mi riconosco in qualcosa di grandissimo, d’immenso, al di sopra di tutto. Kohut chiama questo aspetto oggetto sé grandioso. La dinamica narcisistica è parte naturale dell’evoluzione psichica del bambino. Dall’oggetto sé grandioso, proiettato sui genitori, trae la sicurezza, la forza, l’appartenenza. Dal sé grandioso nasce in futuro il senso di autostima. Ma occorre che il narcisismo venga superato. Fino a quel momento, il narcisismo, la grandiosità, del sé o dell’altro, compensa la paura della nullità, della fragilità, dell’angoscia dell’esposizione ad un mondo pericoloso.

Molte persone superano solo in parte la fase narcisistica del sé grandioso e dell’oggetto sé grandioso. Ne deriva un bisogno di sicurezza che, anziché essere risolto nel contatto con la realtà vera, riconoscendo i propri limiti e nel contempo la propria forza e le proprie qualità, viene risolto nelle immagini compensative, che non sono reali, ma idealizzazioni di sé o dell’altro. Orgoglio, ambizione, grandiosità, permalosità al giudizio, sono fenomeni narcisistici molto comuni nella nostra cultura e nella nostra società dell’immagine. In essa non viene valorizzato l’essere, ma l’apparire, la superficie esteriore, non la profondità.

 

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